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Sonate parallele, Brahms e Schumann


Esecuzione integrale delle Sonate per pianoforte e violino di Johannes Brahms e Robert Schumann - secondo concerto



Brescia, Ridotto del Teatro Grande

venerdì 8 febbraio 2019 - ore 20.30


Un congedo

Johannes Brahms:

Sonata in fa minore op.120.1

Scherzo, dalla Sonata FAE

Brahms - Castelnuovo-Tedesco: Tre Intermezzi op. 117

Sonata in mi bemolle maggiore op.120.2


Fulvio Luciani, violino

Massimiliano Motterle, pianoforte




Se per Schumann l’atto creativo consiste in un viaggio senza freni nel dominio dell’inconscio, per Brahms contiene una componente artigianale, di riflessione, di calcolo, che è garanzia di misura. Paolo Borciani, il mio maestro, diceva che la musica di Brahms è la più umana, ma la sua umanità va colta nonostante una ritrosia espressiva che doveva essere un tratto anche della persona. Grazie alla scrittura Brahms si è difeso dalla responsabilità di cui proprio Schumann l’aveva caricato, coll’averlo indicato come un messia chiamato a raccogliere l’eredità beethoveniana, e dietro alla scrittura ha nascosto in fondo se stesso, per quel che un musicista può riuscire a fare.


A soli 57 anni, stanco, Brahms pensò che dopo il Quintetto con due viole op.111 poteva anche bastare, che non avrebbe scritto più. Sarebbe stata una magnifica uscita di scena, ma le cose andarono diversamente.

Durante un soggiorno a Meiningen Brahms incontrò un clarinettista conosciuto anni addietro, Richard Mühlfeld. Quell’incontro smosse qualcosa. Tornato a Vienna Brahms non ne parlò con nessuno, ma poco dopo, inaspettatamente, apparve una coppia di composizioni formidabili, il Trio op.114 e il Quintetto op.115, tutte e due col clarinetto, che diede inizio ad una costellazione di capolavori. Seguirono quattro serie di pezzi per pianoforte, le opere da 116 a 119 - una delle quali, l’op.117, è in programma questa sera nella rara e preziosa versione di Castelnuovo-Tedesco -, e due Sonate per clarinetto e pianoforte, per le quali Brahms aveva da subito previsto un’edizione separata per violino. Poi più nulla.

Tre anni, dal 1891 al 1894. Fu il suo congedo. Molto più di un prolungamento, di un’appendice al suo catalogo: fu un miracolo di felicità creativa, privo di obblighi, un addentrarsi in un mondo di pura poesia, il suo eden, conquistato dopo una vita intera, ove pronunciare la propria parola di commiato, pacificata e confidente.


Molte vie corrono tra Brahms e il violino. È lo strumento che suonava da fanciullo nei locali malfamati di Amburgo, e che gli offrì l’occasione di andarsene, al seguito del violinista Ede Reményi, un ungherese. Quando, ventenne, si presentò a casa Schumann, aveva con sé una Sonata per violino, e durante il mese circa che trascorse lì fu coinvolto nella scrittura di una Sonata collettiva, scritta insieme a Dietrich e a Schumann in onore del violinista Joseph Joachim, alla quale contribuì con lo Scherzo che è in programma questa sera. Da quel momento ci vollero vent’anni per avere un Quartetto d’archi, ventitré per avere una Sinfonia. Ma ce ne vollero ben 25 per tornare al violino, con il Concerto, al numero 77 del suo catalogo. Forse perché il violino è una macchina della verità. E Schumann l’aveva ben compreso.




prossimi concerti:



giovedì 21 febbraio 2019 - ore 20.30


La costruzione della spontaneità

Johannes Brahms:

Sonata in sol maggiore op.78

Sonata in la maggiore op.100

Sonata in re minore op.108



venerdì 22 febbraio 2019 - ore 11


Sonate parallele, Brahms e Schumann

Conversazione sulla musica, riservata alle scuole

foto Umberto Favretto