dischi
Borodin, l’opera completa per quartetto d’archi
note per il CD Stradivarius STR 33445
Aleksandr Porfir'evic Borodin
San Pietroburgo 31.X(12.XI).1833 - 15(27).II.1887
Mentre lavoravo a questa incisione mi sono sorpreso a pensare che un disco che contenga il Secondo Quartetto di Borodin dovrebbe iniziare con il Notturno. Naturalmente, si dovrebbe poi mettere il Notturno una seconda volta, al suo posto, all’interno del Secondo Quartetto.
Non so come, ma mi è sembrato che quest’idea, senz’altro orribile, degna di una promozione da strilloni, fosse in questo caso quasi accettabile, quasi giustificata, quasi quasi giusta. Il Notturno è fatto di musica così bella, musica capace di creare un suo universo poetico e di introdurti in quell’universo, di indicare la sua propria misura del tempo, che è un poco rallentata, di strattonarti con le sue accelerazioni, che sono piene di vita e di energia ma non di violenza, musica così ricca di profumi, di sapori, di ricordi e nostalgie, così affascinante, che, insomma, il Notturno va bene anche da solo.
Certo, non si può fare - metterlo due volte, intendo - ma quando anche lo si fosse rubato al Quartetto, un’operazione che in altri casi si chiamerebbe espianto, si sarebbe fatto per troppo amore e, dunque, quasi senza colpa.
Questa dell’amore costituisce forse la più autentica chiave di accesso all’universo poetico di Borodin. La musica non è per Borodin, com’è per altri, il campo di battaglia delle proprie idealità. E’ un semplice oggetto di amore, di un amore non dimentico delle profonde angosce e domande di cui altri hanno intriso la loro musica, ma delicato nel non imporle all’ascoltatore. La musica di Borodin narra di storie trascorse, così che l’ascoltatore non ne sia coinvolto ma solo le ascolti raccontare. In essa vi è una profonda e ricca umanità ed anche una dolce educazione.
Borodin non fu musicista professionista nel senso che intendiamo oggi. La rigida organizzazione sociale russa non riconosceva allora il mestiere del musicista. In assenza di rendite personali era necessaria una professione capace di provvedere al reddito. Glinka fu funzionario del Ministero dei Trasporti, Musorgskij modesto impiegato, Rimskij-Korsakov ufficiale di marina; Cajkovskij poté lasciare l’impiego al Ministero dopo solo pochi anni unicamente grazie al mecenatismo di alcuni amici.
Borodin fu chimico e l’esercizio della musica fu sempre subordinato alla sua attività di scienziato, ma il suo caso è un poco diverso. Le scienze furono per lui una passione autentica, quanto la musica, ed egli vi colse traguardi ambiziosi, tanto da ottenere una cattedra universitaria presso l’Accademia di Medicina e Chirurgia di San Pietroburgo e una notorietà internazionale grazie ai suoi studi.
La storia della formazione musicale di Borodin, uomo colto, elegante e generoso, viene di solito liquidata con la nozione che egli fu in primo luogo un chimico, eppoi persona amabile, che piaceva, e che amava piacere, veramente a tutti. Credo invece valga la pena di ripercorrerla con un poco di cura e tentare così di riscattarne l’immagine stereotipa di dilettante geniale.
Aleksandr Porfir'evic Borodin nacque a San Pietroburgo il 31 Ottobre (12.XI) del 1833 dalla lunga relazione tra l’anziano Principe georgiano Luka Stepanovic Gedjanosvili, tenente a riposo, e la bellissima ventiquattrenne Avdot’ja Konstantinovna Antonova. Gedjanov registrò il suo figlio illegittimo come figlio di uno dei suoi servi, Porfirij Ionovic Borodin, secondo il costume dell’epoca.
La madre, amatissima e teneramente innamorata del proprio bimbo, non lo riconobbe mai pubblicamente come figlio e si rivolse sempre a lui come “zia”; così fece anche Borodin, un po’ per scherzo e un po’ sul serio, in tutta la sua corrispondenza. In assenza di un padre, il piccolo Sasa, che pure conobbe il suo e ne conservò un ricordo chiarissimo, crebbe in un universo interamente di donne, essendone talmente parte da considerare anche se stesso - e parlare di sé - al femminile.
Nel 1839 Gedjanov volle assicurare ad Avdot’ja un futuro dopo la sua morte. Combinò un matrimonio con un medico militare a riposo, tale Christian Ivanovic Kleinecke, e le donò una casa di quattro piani. Dalla casa si vedeva il cortile di una caserma e il piccolo Sasa, dietro le finestre, guardava le manovre dei soldati e della banda militare, affascinato.
La madre provvide in casa all’educazione del figlio e insieme di una cuginetta. Borodin imparò il tedesco e il francese fin da bambino. A tredici anni iniziò a studiare l’inglese e in seguito conobbe così bene l’italiano da essere in grado di usarlo per scrivere saggi scientifici.
All’età di otto anni mostrò interesse per la musica: fu in grado di ripetere al pianoforte ciò che aveva sentito e ottenne di avere lezioni di flauto - ma la sua passione era il tamburo - dal suonatore della banda. A nove anni scrisse alcuni pezzettini tra cui una polka dedicata ad un amore da bambino, “Hélène”.
Nel 1846, la madre accettò un pensionante coetaneo del figlio, Misa Sciglev. I due condivisero i precettori e una durevole amicizia. Ebbero lezioni di pianoforte da un modesto insegnante tedesco, lessero a quattro mani le trascrizioni delle sinfonie di Haydn, Beethoven e Mendelssohn e iniziarono a frequentare i concerti. Sciglev imparò da solo a suonare il violino e Borodin fece altrettanto col violoncello; poterono così organizzare con altri amici letture interminabili ed esaltate di musica da camera. Una volta lessero i quartetti di Beethoven, completamente rimbambiti dalla musica, fino a perdere la nozione del tempo, per una notte e un giorno, senza fermarsi.
Già prima di incontrare Sciglev, Borodin aveva iniziato a giocare al piccolo chimico. Cominciò col fabbricare fuochi di artificio e gli acquerelli con i quali dipingeva, provocando principi di incendio e puzze orribili. Piano piano conquistò diversi angoli della casa, fino ad avere a disposizione un vero laboratorio. Leggeva, tanto assorto da essere completamente assente, tutte le pubblicazioni scientifiche che riusciva a procurarsi. A soli diciassette anni fu ammesso, come studente esterno, all’Accademia di Medicina e Chirurgia di San Pietroburgo. Il suo esame fu giudicato eccezionale.
La medicina fu una nuova passione. Mutarono le puzze: ora era Borodin stesso ad essere impregnato di odore di teatro anatomico. Solo al terzo anno di Accademia, dopo molte timidezze, Borodin trovò il coraggio per presentarsi al famoso chimico Zinin - il “padre” della chimica in Russia - e chiedergli di poter lavorare nel suo laboratorio, sotto la sua guida. Zinin lo accolse con diffidenza ma presto divenne per lui una vera e propria guida, qualcosa più che un semplice docente; spesso gli rimproverava di dedicare troppo tempo alla musica.
Nel 1856, a ventitré anni, Borodin finì i corsi dell’Accademia cum eximia laude. Immediatamente fu inviato a far pratica in un ospedale militare. L’anno seguente fu a Bruxelles per un congresso, e visitò Parigi. Nel 1858 pubblicò il suo primo lavoro scientifico. Era una ragazzo bello, straordinariamente intelligente, senza imbarazzi per i suoi natali, attratto dalla conoscenza e dall’arte, che aveva vissuto con naturalezza il passaggio dalla sua fanciullezza tra le donne al mondo degli uomini.
Nell’autunno del 1859 fu di nuovo inviato all’estero a continuare i suoi studi. Stette per la maggior parte ad Heidelberg, dove fu particolarmente vicino all’amico Mendeleev e dove, “per compiacere i tedeschi”, scrisse un sestetto nello stile di Mendelssohn; visitò anche Rotterdam, l’Italia - Roma e Genova -, ancora Parigi, Friburgo, dove ascoltò il famoso organo, e Karlsruhe.
Nel 1861, ad Heidelberg, conobbe la pianista ventinovenne russa Katerina Sergeevna Protopopova, che era in Germania per curare la tubercolosi. Ammiratrice di Chopin, Liszt e in particolare di Schumann, ella presto conquistò Borodin, allora sotto l’influenza soprattutto di Mendelssohn, a questi autori. La loro frequentazione divenne presto amore. A Mannheim, i due ascoltarono Der fliegende Holländer, Tannhäuser e Lohengrin per la prima volta. In Ottobre Katerina dovette andare in Italia a causa della sua salute. Borodin, che pensava di accompagnarla soltanto, fu invece invitato da due eminenti chimici italiani a fermarsi a lavorare. Rimase così con Katerina a Pisa (Viareggio) fino all’Agosto del 1862. In Italia vi fu tempo per un amorazzo che non mise in crisi la loro unione, ed anche per la musica: Borodin suonò il cello nella locale orchestra d’opera e con Katerina suonò Bach all’organo della cattedrale di Pisa.
Nel Settembre 1862 fece ritorno a San Pietroburgo. I suoi incarichi presso l’Accademia di Medicina e Chirurgia acquisirono sempre maggior prestigio fino alla nomina a Professore, nel 1864.
Nel 1863, Borodin, che lavorava anche come traduttore di opere scientifiche per l’editore Wolf, aveva sposato Katja. Durante l’estate fu coinvolto nella baraonda per l’organizzazione di un nuovo laboratorio di chimica dell’Accademia. La coppia prese alloggio nel medesimo fabbricato del laboratorio, al primo piano. Lì, in vista della Neva, Borodin risiedette per il resto della sua vita. Il suo appartamento, rabberciato di continuo, fu costantemente abitato da una autentica corte dei miracoli: parenti - di entrambi - senza lavoro, poveracci raccolti per strada, studenti, malati, ragazze, compagni di bagordi, questuanti, che dormivano per terra, nei corridoi, nella sala da pranzo, gatti e topi in perenne guerra. Nonostante le aspirazioni di Katerina, la conduzione della casa risultava impossibile: nessuno che pranzasse a tempo debito, se pure pranzava, nessuno che riconoscesse con certezza il giorno dalla notte e che distinguesse le occupazione che gli uomini tradizionalmente usano svolgervi. Del resto, la notte nessuno poteva dormire a causa dell’insonnia di lei, meno che mai il marito.
Col ritorno a San Pietroburgo, Borodin riallacciò i contatti con Musorgskij, che aveva conosciuto già tre anni prima, e conobbe Balakirev. Da questi ebbe lezioni e, sotto la sua guida, iniziò a comporre la sua prima Sinfonia.
Il resto è storia più nota.
Borodin fu amico di Stasov e Dargomyzskij e partecipò al gruppo della giovane scuola nazionale russa, il cosiddetto Gruppo dei Cinque, assieme a Balakirev, Musorgskij, Kjui e Rimskij-Korsakov. All’interno del Gruppo dei Cinque mantenne una posizione appartata, non ostinatamente nazionale. Balakirev lo accusava di “occidentalismo”, Musorgskij, al quale fu particolarmente vicino, di “classicismo” e si dichiarò disgustato al sapere che stava lavorando ad un quartetto d’archi, una forma del tutto estranea alla tradizione musicale russa. Se nella musica di Borodin l’impianto formale denuncia una evidente discendenza occidentale che poteva dispiacere a Musorgskij, la sostanza del materiale musicale ha, invece, una forte matrice nel folklore nordico della Russia ed ancor più in quello sud-orientale delle regioni caucasiche. L’inclinazione di Borodin per l’oriente meridionale, ciò che per i Cinque costituiva una specie di manifesto estetico oltre ad una fascinazione esotica, si deve anche alle sue origini: il padre naturale era georgiano ed egli nella sensualità meridionale riconosceva le proprie radici, l’origine della propria cultura personale. Va detto, comunque, che la questione della autenticità delle tradizioni era, all’epoca, una questione particolarmente rilevante.
Fino alla fine del XVII secolo in Russia non esisteva una tradizione musicale colta in senso occidentale. Il patrimonio musicale era costituito dalla ricchissima tradizione folklorica contadina e dalla musica legata alla liturgia, in particolare bizantina. Il processo di occidentalizzazione voluto da Pietro il Grande portò in Russia durante il XVIII secolo alcuni musicisti italiani, alla direzione del Teatro di Corte e della Cappella Imperiale. Furono proprio costoro a scrivere le prime opere in lingua russa e a utilizzare materiale preso dalla tradizione locale, stimolando così l’interesse per le autentiche tradizioni musicali dei popoli della Russia zarista. La sintesi che operarono, tra tradizione locale e cultura di importazione, costituisce l’antecedente storico all’opera di Glinka, considerato il primo compositore autenticamente russo.
In seguito ai moti liberali dell’inizio del XIX secolo e alle successive rivolte contadine, il mondo culturale russo si divise in filo-slavi e in filo-occidentali. I primi avversavano le riforme di Pietro il Grande e sostenevano la valorizzazione delle tradizioni autenticamente slave. La tradizione filo-occidentale in musica era rappresentata dai fratelli Rubinstejn, fondatori, alla metà del secolo a San Pietroburgo e a Mosca, dei primi Conservatori in Russia, e aveva il suo campione in Cajkovskij. Al progetto accademico dei Conservatori si contrapponeva il Gruppo dei Cinque, inizialmente guidato da Balakirev e che riconosceva il suo modello in Glinka. I Cinque aborrivano i Conservatori, per il dogmatismo dell’istruzione impartitavi; Balakirev fondò una scuola gratuita di musica, che presto fallì, Musorgskij rifiutò di insegnare in Conservatorio anche quando l’abolizione della servitù della gleba, che salutò con sincero entusiasmo, lo rovinò definitivamente.
La distanza storica ci permette ora di giudicare questo antagonismo con minore radicalità di quanta ne usarono i protagonisti diretti. Cajkovskij fu un “nemico” soprattutto per Kjui - un tipetto capace peraltro di approfittare della sua posizione di critico musicale per stroncare alla prima il Boris Godunov di Musorgskij -, ed in sostanza le posizioni, più che antitetiche, furono complementari, entrambe non potendo prescindere dalla cultura musicale occidentale. Lo stesso Glinka, vero padre della musica colta russa, appena poté disporre del patrimonio familiare corse in Italia per tre anni, dove incontrò Bellini e Donizetti, si recò in Svizzera e in Germania dove conobbe Mendelssohn e ascoltò il Fidelio e Der Freischütz. Inoltre, il Gruppo dei Cinque non aveva una posizione così definita e univoca quanto quella dei suoi antagonisti. La somma di tutte queste singole posizioni costituisce l’iridescente risposta al processo di inoculazione della tradizione e della tecnica musicale europee entro la cultura russa.
Nel 1877, durante una visita ad alcune Università tedesche in compagnia di due suoi studenti che avevano stabilito di laurearsi in Germania, Borodin conobbe Liszt. Da tempo desiderava di incontrarlo, poiché sapeva da Kjui che il celebre Maestro era ben disposto verso la nuova musica russa. Questa volta, fattosi forza, partì da solo per Weimar. Trovò la casa di Liszt, si informò sugli orari di visita, poi si sperse per la città. Visitò la casa di Schiller e quella di Goethe e rese omaggio alle loro tombe.
Liszt fu lieto della visita, apprezzò la musica di Borodin e lo esortò a perseguire la propria originalità “anche se le vostre opere non vengono eseguite o pubblicate, anche se vengono mal recensite. Grazie a Dio non avete studiato al Conservatorio. Il futuro appartiene alla musica russa, alla vostra musica”.
Per giorni Borodin fu travolto da un turbine di inviti, concerti, colazioni, serate, lezioni, cui intervenne imbarazzatissimo e impolverato con l’unico abito che aveva con sé, quello da viaggio. Immediatamente fu arruolato alla cerchia più vicina al grande Maestro, ascoltò da lui la propria musica, dovette suonare lui stesso, da solo e con Liszt, in privato ed anche in concerto in case nobili.
Liszt contribuì a far conoscere la musica di Borodin in Europa e gli concedette la sua amicizia. Partecipò addirittura con un suo pezzo ad una raccolta di scherzi musicali, valzer, polke, quadriglie e così via, composti da Borodin - quello che “ha cominciato”, come dicono i bambini sgridati per una marachella collettiva, e che era uso sprecare gran parte del poco tempo dedicato alla musica in questi piccoli pezzi, mai pubblicati e spesso nemmeno mai messi sulla carta -, Rimskij-Korsakov, Kjui e Ljadov, e pubblicati sotto il nome di Parafrasi.
Negli ultimi anni della sua vita, Borodin ebbe l’appoggio della contessa belga Louise Mercy-Argenteau, una nobildonna appassionata di musica russa e col capriccio della scopritrice di talenti. Ella ottenne che fossero eseguite musiche sue a Parigi - tra le quali il primo quartetto -, ad Anversa, Liegi e Bruxelles, provvide alla traduzione francese di alcune romanze e alcuni numeri dal Principe Igor' - traduzioni di imbarazzante bruttezza che Borodin doveva correggere con tatto - e ottenne che Borodin fosse ammesso alla francese Société des Auteurs, Compositeurs et Editeurs, garante Saint-Saëns.
Ma Borodin non aveva tempo per la musica: per guadagnarne scriveva a matita; poi doveva spalmare di albume d’uovo la pagina - per fissarla - e stenderla come un panno ad asciugare. In occasione di un altro incontro, Liszt gli manifestò apertamente il suo disappunto per non avere veduto nuove sue composizioni, ed in particolare perché non procedeva il lavoro al Principe Igor'.
Questa del Principe Igor', fu una fabbrica infinita. Borodin vi lavorò, a periodi alterni, sempre sollecitato dai suoi amici e sempre rubando il tempo, a cominciare dal 1869 - appena dopo la prima Sinfonia (1862/7), in pratica, la sua opera prima - fino alla morte, senza poterla portare a termine. Già dal 1879 singole parti dell’opera furono eseguite separatamente sotto la direzione di Rimskij-Korsakov il quale, con Glazunov, si adoperò poi a completarla.
Borodin non aveva tempo per scrivere. Era oberato dagli impegni di docente e da ogni sorta di seccatura amministrativa che gli veniva dall’Accademia e dalla gestione del laboratorio. La sua vita coniugale fu resa un continuo tormento dal difficile carattere e dalla salute sempre precaria della moglie, cui però, nonostante fosse ricorrentemente oggetto di corteggiamenti, rimase sempre accanto. Date le abitudini di Katerina, che andava a dormire all’alba, dormiva fino al pomeriggio e non permetteva ad altri di dormire, non si sa quando potesse riposare. “Anche se avessi talvolta del tempo libero non avrei comunque mai tempo libero dalle preoccupazioni. Devo avere tranquillità se sto per lavorare alla mia musica. La mia mente è piena di altre cose”.
Quale posto occupasse la musica nella sua vita e quanto poco Borodin fosse determinato nel promuoversi come autore, disordinato, pigro e ritardatario, possiamo facilmente capirlo da quasi ogni passaggio della sua biografia. Nell’autunno 1876 Borodin fu sorpreso dall’interesse della Società di Musica Russa che voleva organizzare una esecuzione della sua seconda Sinfonia. Le parti dell’orchestra dovevano ancora essere preparate ma, quel ch’è peggio, Borodin aveva perduto la partitura. Nonostante fosse costretto a letto da una malattia, dovette riorchestrare la Sinfonia in gran fretta. Furono fortunosamente trovati i movimenti centrali e l’esecuzione poté avere luogo, con scarso successo a causa della pessima preparazione del materiale. Nel Settembre 1880 Borodin ricevette un’offerta per una esecuzione della seconda Sinfonia a New York; l’esecuzione non poté avere luogo perché della partitura esisteva solo la copia manoscritta e non fu possibile inviarla. Intanto, però, si era tenuta una esecuzione della prima Sinfonia a Baden-Baden, salutata da un grande successo.
C’è da chiedersi che povera vita potesse avere quest’uomo, appassionato a due attività così diverse, ognuna delle quali sarebbe stata in grado da sola di catturare un’esistenza, anche affrontata non a corpo morto come invece fu. Nonostante tutto fu uomo generoso, incapace di negarsi a chiunque, amici o questuanti, sempre in debito verso se stesso di attenzioni e di tempo. Non pago di ciò che già faceva, ne inventò sempre delle nuove. Organizzò un sistema di aiuti agli studenti poveri, fu uno dei fondatore della Scuola Femminile di Medicina, la prima di questo genere in Russia, che prese avvio con il modesto titolo di Corso di Ostetricia pur essendo un corso avanzato di medicina, e si occupò di dotarla di tutte le attrezzature necessarie. Adottò due ragazze, una delle quali, Liza Balaneva fu madre di Serge Dianin, suo, ovviamente, documentatissimo biografo, e in seguito una terza, Ganja Litvinenko, in precedenza adottata dalla madre di Katerina.
Borodin fu persona amabile e gentile, non serena. Scriveva alla moglie, tre anni prima della morte: “Lo sa Dio se da me non ci si aspetta che io sia Glinka e Semen Petrovic, scienziato e amministratore, artista, funzionario, benefattore, padre di bimbi altrui, dottore e invalido, tutto in uno… Ma tutto questo non durerà a lungo, perché io non sono che l’ultimo di questi, nessuno di tutti gli altri. Andrei dappertutto pur di andarmene da qui, in campagna, in qualsiasi posto, al diavolo perfino.”
La Signora con la falce lo beffò ad un ballo di Carnevale dell’Accademia, in costume tradizionale russo, con casacca rossa e calzoni blu, il 15 (27) Febbraio del 1887.
Nello scarno catalogo di Borodin, ben quattro composizioni per quartetto d’archi, due quartetti più due pezzi staccati, costituiscono un numero assai significativo.
Il Quartetto in la maggiore appartiene alla categoria delle composizioni partorite dopo una gestazione senza fine. I primi abbozzi risalgono forse all’inverno 1873/74, un’epoca per Borodin non feconda alla musica, segnata da un grande evento musicale: la prima del Boris Godunov di Musorgskij, che provocò una profonda divisione tra i membri del Gruppo dei Cinque. Borodin era conquistato dall’originalità della partitura; Rimskij-Korsakov e Kjui invece non facevano che trovarvi difetti, quest’ultimo in particolare. Kjui, come già ricordato, stroncò il Boris senza tanti complimenti. Il tempo ha fatto completamente giustizia di lui ed anche ha mostrato l’anima perbenista di Rimskij-Korsakov, che completò e “aggiustò” molta della musica di Musorgskij dopo la sua morte, col risultato di garantirle una vasta popolarità, al prezzo di averla asservita al gusto del pubblico e tradita nello spirito. Musorgskij fu un idealista e un eversore in musica e Borodin, pur non condividendone le posizioni, fu forse l’unico del gruppo a comprenderlo nel profondo. Di tradimento, a proposito del Boris, Musorgskij parlò apertamente: “Kjui e Rimskij-Korsakov hanno tradito, non di nascosto, ma sfrontatamente. Borodin non tradirà. Se solo potesse adirarsi…”.
Nell’inverno 1874/75 Borodin riprese, con grande soddisfazione degli amici, il lavoro al Principe Igor', tralasciato fin dal 1870. Con l’orrore di Musorgskij e Stasov, gli abbozzi del quartetto furono completati in quel periodo, ancora particolarmente sfavorevole alla musica. Zinin era andato in pensione e Borodin fu gravato dell’intera responsabilità del laboratorio. Non pago, nonostante l’Accademia attraversasse un momento difficile ed egli dovesse far fronte ad ogni sorta di difficoltà amministrativa, arrivò perfino ad ottenere che il laboratorio fosse ingrandito “perché ognuno che lo desideri possa lavorarvi”.
Solo nel 1879, durante vacanze felici a Davidovo, Borodin terminò il quartetto.
La prima esecuzione avvenne il 30 Dicembre 1880 (11.I.1881) in un concerto della Società di Musica Russa a San Pietroburgo. Da allora acquisì una notevole popolarità in Europa e in America. Fu dedicato alla moglie di Rimskij-Korsakov.
Il frontespizio del quartetto recita: “ispirato da un tema di Beethoven”. Il tema cui si fa riferimento è un frammento del Finale alternativo dell’Op. 130 - che sostituì la Große Fuge - che serve a costruire il tema di avvio dell’Allegro del primo movimento.
Il primo movimento è un organismo monumentale, lungo da solo ben 887 battute, circa tredici minuti. Si apre con un’introduzione, Moderato. Il primo violino canta piano una sommessa, semplice melodia, quasi in coro con gli altri strumenti. La melodia disegna una curva elegante e dolce e, salendo un poco di tono, mostra un presagio di inquietudine. Dopo una fermata su un lunghissimo mi del secondo violino, il cello riprende il canto in una tonalità inattesa, pianissimo. Solo poche battute e il primo violino si sostituisce al violoncello, la sua voce dà corpo all’inquietudine di poco prima e sale, altissima, in un crescendo che è insieme di tono e di angoscia. Il ripiegamento che segue è assai tormentato: dopo una breve fermata e un crescendo repentino, finisce per assestarsi su di un mi, preso forte dal primo violino e poi da tutti gli altri, e tenuto a lungo. Una lunga pausa e finalmente si avvia l’Allegro, con una specie di dolce girandola di note, di quelle che un alito di vento fa girare in mano ai bambini, scorrevole e piana, dal tono discorsivo, com’è di parola, più che di canto, il tono dell’intero primo movimento. Il secondo violino ripete la frase intera e il violoncello la conclude, in rallentando. Dal silenzio prende forma una breve e agile figuretta cromatica, subito arrestata da tre accordi su di un ritmo puntato. Tutti gli strumenti si appropriano della figuretta, sempre interrotti dai tre accordi, in un ciclo di cinque ripetizioni. Il ciclo ricomincia, finalmente la figuretta riesce a vincere l’opposizione degli accordi, fugge libera e, dopo un breve capriccio, approda ad una frase del primo violino - il secondo tema -, più lenta e dal tono appassionato e patetico, costruita sullo strano metro di sette battute più sette. L’effetto è quello di una recita quasi improvvisata, e di una espressività esibita. Dopo una appendice di nove battute alla viola, una ripetizione al secondo violino - accompagnato da un contrappunto al primo violino - e un crescendo di concitazione, il moto si arresta su una breve discesa a coppie di note, legate in contrattempo. Una lunga planata della figuretta cromatica, sempre pianissimo, conclude l’esposizione.
Lo sviluppo utilizza ogni elemento del materiale usato fino ad ora, variamente combinato e trasformato. Una fermata su una nota nuova, quasi un rintocco, segnala che qualcosa sta per accadere. Il tema-girandola, nella tonalità lontana di la bemolle, ricomincia poco a poco a rimettersi in moto, sopra ad uno spezzone di scala cromatica discendente e a frammenti della frase appassionata. Il moto acquista sempre maggiore spinta, fino ad un “divertimento” di note ribattute, velocissime, che riprendono, completamente trasfigurata dalla velocità, la frase appassionata. Segue un fugato costruito su un soggetto tratto dal tema-girandola. Un nuovo “divertimento” di note ribattute, costruito questa volta sulla figuretta cromatica interrotta dagli accordi, segna un nuovo scoppio di vitalità. Addirittura il materiale dell’introduzione, nonostante la differenza di passo tra Moderato e Allegro, concorre allo sviluppo: sopra ad un pedale costruito con la figuretta cromatica ed il ritmo puntato, privato degli accordi, la frase dell’introduzione tende un amplissimo arco fino ad una nuova declamazione del tema appassionato che si prolunga fino alla ripresa.
La ripresa è regolamentata dai precetti della forma-sonata. Ogni elemento è ripreso secondo norma, occasionalmente variato con fantasia. La lunga planata della figuretta cromatica che concludeva l’esposizione, questa volta porta ad una coda, avviata dal violoncello, ancora ricca di episodi e di contrasti. Il movimento si spegne, con una naturalezza tutta del suo autore, in una magica aurora di suoni armonici.
Il secondo movimento, Andante con moto, il tempo lento del quartetto, non è meno complesso né meno rigoroso del primo. Si apre con una affascinante frase del primo violino e della viola soli: il primo violino suona una splendida melodia, dal carattere espressivo quasi neutro ma che dissimula un fondo di sensibilità ed emozione, e la viola ne intona un’altra, non meno bella, che è presa da un canto popolare. La frase - di 7 battute, ancora una strana metrica - è poi ripetuta con diversa orchestrazione e un piccolo ampliamento a conclusione, una postilla di due battute. Una breve e improvvisa accensione, quasi una piccola cadenza, chiude la prima sezione del movimento.
Una seconda sezione si apre con una complessa frase di crome scorrevoli - di dieci battute, in luogo delle tradizionali otto - tutta slanci trattenuti, indecisioni, fermate e accentuazioni. Un piccolo cromatismo di cinque note, apparentemente insignificante, serve da collegamento ad una ripetizione della stessa, in altra tonalità - ora “normalizzata” ad otto battute -; presto si avverte che il cromatismo, non altro che una derivazione del materiale della frase, si è completato in un frammento di due battute che ora impone la sua presenza, arresta il moto per un momento e conduce ad una terza e più affermativa ripetizione della frase, al violoncello. Dopo, il frammento rimane solo, padrone del campo. La sua curva, ricca di tensione, produce ora degli appoggi su accordi sforzati, ripetuti più volte, con sempre minore energia. Una memoria trascolorata della frase di prima e ancora accordi sempre più stanchi concludono la prima parte del movimento.
Segue un misterioso Fugato, che viaggia a passo un poco più svelto ed è costruito usando il frammento cromatico. Il Fugato è diviso in due parti. La prima è più nervosa, quasi un garbuglio di suoni annodati come fili, che rotola via spinto dall’aria; la seconda conquista invece, insieme al modo maggiore, un accenno di melodia, una maggiore dolcezza e un andamento cantilenante. La sezione si esaurisce quasi come la precedente, con appoggi - l’ultimo escluso - più teneri. L’accensione improvvisa, questa volta in sovracuto, riporta ai temi sovrapposti dell’inizio, trasportati nella regione acuta con un gesto che è ricorrente nella scrittura di Borodin e che produce un colore inconfondibile. La chiusa è molto articolata, tutto accade senza preparazione, con grande sveltezza e con dinamiche molto contrastate. Ai temi sovrapposti, ripetuti due volte più postilla come all’inizio, segue il canto popolare da solo, mutato in un corale stentoreo di tutti gli strumenti. Due sbrigativi appoggi costruiti sulla postilla del primo tema - quelle due battute in più - e una nuova accensione, questa volta a viola e cello uniti, preludono ad una lunga ed estenuata coda ove, sopra un funebre rintocco del violoncello, la postilla, con fredda gravità, e il frammento cromatico, con una memoria di sensibilità, esauriscono lentamente le proprie forze.
Entrambi i movimenti sono costruiti con sapienza, proprietà e rigore. La descrizione, che abbiamo dato a mo’ di esempio, di ogni elemento dei primi due movimenti, che hanno entrambi un inconfondibile sapore russo, anche quando non esiste un riferimento diretto a musiche tradizionali, esaurisce l’intero materiale: in pratica, nemmeno una nota sfugge alla catalogazione fornita. Ciò che sorprende è che musica tanto organizzata e, sulla carta, apparentemente schematica, riesca all’ascolto libera ed estemporanea. Borodin, da subito, al primo approccio al genere dotto del quartetto d’archi, realizza una sintesi compiuta di rigore formale e libertà inventiva, di ricchezza contrappuntistica e gusto del colore, di occidente e di oriente. La forma è rigorosa, ma si tratta di una forma liberamente e fantasiosamente architettata, non dimentica dei grandi modelli della cultura quartettistica tedesca eppure del tutto individuale e compiuta.
Lo Scherzo, ultimo movimento ad essere completato, è una fresca scorribanda nella velocità, un allegro mulinello del vento: gli strumenti si rincorrono con inesauribile foga, rifiatano un attimo tutti insieme per riprendere subito a più non posso, fino alla fine. Il Trio è una incantevole ninna-nanna, come di fiaba, scritta tutta per suoni armonici - i cosiddetti “flautati” degli strumenti ad arco.
Il quarto movimento ha una introduzione Andante piena di attese. L’Allegro risoluto si apre annunciato da tre accordi fortissimo e il moto si avvia su di un ritmo ossessivamente insistito, quasi una danza rituale, in continuo crescendo. Esaurito il primo episodio, inserti di vario carattere, personificazioni diverse di una stessa idea musicale, una anche in stile fugato, si inseriscono tra i numerosi ritorni di quella danza. Chiude una coda piena di slancio.
Nel Marzo del 1881 Musorgskij si ammalò gravemente. Borodin e Stasov si presero cura del suo ricovero presso l’Ospedale Militare Nikolaevskij. Borodin lo vide per l’ultima volta il giorno precedente la morte, che sopravvenne il 16 (28) di Marzo.
Il 26 Maggio (7.VI) Borodin partì per la Germania, ufficialmente diretto a Berlino per conto dell’Accademia Medica Militare, in realtà col proposito di andare al Festival della Musica organizzato a Magdeburgo dalle Società Musicali Tedesche, e di incontrarvi Liszt. Arrivò a Magdeburgo il 28 di Maggio (9.VI). Un facchino della stazione lo informò che Liszt alloggiava all’Hotel Koch. “In mezzo minuto fui all’Hotel Koch, mi sistemai nella stanza 34 e mezzo minuto più tardi ero nella stanza numero 1, l’appartamento di Liszt. Il suo servitore montenegrino mi riconobbe immediatamente, sembrò felice di vedermi e mi salutò animatamente in italiano; mi superò per aprirmi le porte e in un momento le mie mani erano tra quelle Liszt”.
Borodin ascoltò a Magdeburgo tutti i concerti. Nessuna sua composizione era in programma, ma ugualmente egli si adoperò a chiarire al direttore e all’orchestra le intenzioni dell’autore dell’unico pezzo russo di un certo rilievo, l’Antar di Rimskij-Korsakov. Il giovane direttore si chiamava Arthur Nikisch.
Il 2 (14) di Giugno Borodin lasciò Magdeburgo per Weimar, al seguito di Liszt. A Weimar assistette ad una rappresentazione integrale del Faust di Goethe e conobbe Hans von Bülow.
Ritornato a Mosca fece il solito sopralluogo per scegliere la residenza estiva, a Zitovo; ottenuta l’approvazione della moglie - tutt’altro che scontata - fu raggiunto da lei e dalla figlia Ganja.
Durante l’estate Borodin scrisse poco. Lavorò al Principe Igor', senza costanza come sempre, ma anche al secondo Quartetto in re maggiore. E’ questa l’unica composizione di Borodin scritta in unico impulso creativo, completata alla fine dell’Agosto 1881, in soli due mesi; è anche una delle sue pagine più conosciute e amate.
Il quartetto è straordinariamente compatto e coerente - non uniforme! -, ad un grado paragonabile a quello di quartetti quali il Quartetto Serioso di Beethoven o Rosamunde di Schubert. L’atmosfera è essenzialmente lirica. Dianin suggerisce l’ipotesi che il lavoro sia stato ispirato dall’amore per Katerina e sottolinea alcune coincidenze significative. Borodin compose il quartetto nel 1881, a vent’anni esatti dal loro incontro, e lo dedicò a lei, che era estremamente sentimentale. L’ipotesi di un programma descrittivo formulata da Dianin a me pare un po’ troppo organica. Se è facile prendere il Notturno per una scena d’amore, è meno ovvio credere che l’ultimo movimento sia una umoristica rappresentazione del carattere della moglie e della loro vita coniugale. Forse, invece, è credibile l’ipotesi che il carattere complessivo dell’opera sia stato influenzato dall’atmosfera felice di una ricorrenza.
Il primo movimento, Allegro moderato, si apre con un memorabile esordio del violoncello, ripreso e sviluppato poco più avanti dal primo violino. Attraverso complicate vicende, tutto il movimento vive sul dialogo di questi due strumenti, un dialogo non antagonistico, nel quale uno strumento si specchia nell’altro.
Allo Scherzo è destinata la seconda posizione, diversamente dal primo Quartetto, dove è al terzo posto. Lo Scherzo è assai complesso ed evoluto nella forma. All’idea di esordio segue una specie di dolce danza, quasi un valzer, sentimentale e sognante. La prima idea e la danza si comportano quasi come due temi in forma-sonata. Manca un Trio, sostituito da una specie di sviluppo. Chiude una breve coda.
Del Notturno si è già detto. Desidero però aggiungere qualcosa. E’ frequente trovare nella musica - come nella pittura, nell’architettura, nella letteratura - momenti evidentemente ripresi da altri luoghi. Non intere composizioni: semplici gesti, piccole frasi, che rivelano, consciamente o inconsciamente, la fonte da cui originano, non per plagio bensì a causa della potenza suggestiva dei modelli. Per restare al quartetto, tre casi per tutti: il primo movimento del Quartetto KV 590 di Mozart è modellato in ogni particolare sul movimento corrispondente dell’Op.17 n.4 di Haydn, così come l’Op.18 n.5 di Beethoven - e lo si dice sempre - è un calco del KV 464 di Mozart e come è chiaro che Debussy conosceva assai bene il Quartetto di Grieg. Io credo che la suggestione beethoveniana sia più presente nel secondo Quartetto di quanto non lo sia nel primo, che pure la dichiara. Alla meravigliosa frase del violoncello che apre il Notturno, e che il primo violino subito ripete, segue a tempo più mosso un importante episodio che occupa tutto il cuore del movimento e che evidentemente, per come nasce, per l’impressione che genera, per le scale ascendenti che contiene, discende dal sentendo nuova forza (Neue Kraft fühlend) della Canzona di ringraziamento dell’Op.132. Un caso ancora più chiaro segue a poca distanza ed è costituito dall’impianto formale dell’ultimo movimento, ripreso dall’ultimo movimento dell’Op.135. Nell’Andante introduttivo i due violini si interrogano e viola e cello rispondono gravemente affermativi, com’era già stato, a parti invertite, in Beethoven; Beethoven addirittura appose a il titolo di Der Schwer gefaßte Entschluß (La difficile decisione) al movimento, ed un testo a domanda e risposta: “Muß es sein?” “Es muß sein!” (“Deve essere?” “Deve essere!”). Solo dopo questa specie di pantomima, in Beethoven e in Borodin, il movimento si avvia; più avanti sarà ancora interrotto dalla stessa recita. E’ nota l’origine scherzosa del tutto, in Beethoven. “Es muss sein!” (“Deve essere!”) era uno scherzoso sollecito di pagamento. Uno scherzo ma anche qualcos’altro, ad ascoltare la musica. Forse il vero scherzo consiste nel cambiamento inaspettato di umore tra la serietà un po’ spettrale della domanda e la serenità terrena dell’Allegro seguente, come a disattendere con leggerezza la gravità del quesito. L’intero meccanismo si ritrova in Borodin, e non credo sia casuale. Anche la conclusione del Quartetto in re maggiore di Borodin, col lunghissimo re sovracuto del primo violino, fermo, mentre gli altri muovono e concludono, ha un modello - certo, affatto diverso nel carattere - nella scrittura di alcune poetiche chiuse brahmsiane.
L’autunno del 1882 portò con sé il solito carico di commissioni. Ebbe luogo la seconda esecuzione del Quartetto in re maggiore, l’11 (23) Dicembre, ad un concerto della Società di Musica Russa, e Borodin cominciò a frequentare le serate di musica da camera che si tenevano a casa Beljaev, più tardi conosciute come “I Venerdì da Beljaev”. Mitrofan Petrovic Beljaev fu un entusiasta amante della musica; avendo accumulato una fortuna con il commercio del legname, fondò nel 1885 la casa editrice che porta il suo nome, con il preciso intento di rendere note le opere dei compositori russi.
Per uno di questi “Venerdì” Borodin compose lo Scherzo in re maggiore. L’esecuzione fu affidata ad un quartetto non professionale costituito da Beljaev, una specie di “quartetto in residenza”, probabilmente non al massimo dell’efficienza.
Lo Scherzo è nel non usuale tempo di 5/8. Si avvia su di un tremolo sulle corde vuote del secondo violino, ed è pieno di forza ritmica e di energia. E’ stata osservata la sua somiglianza con l’introduzione del “gopak” dalla Fiera di Sorocincy di Musorgskij, che imita lo stile dei violinisti di un villaggio ucraino. Il Trio, bellissimo, contiene materiale in un primo tempo destinato ad un episodio del Principe Igor', il Racconto del Mercante. Si apre con la viola sola che intona un canto quasi liturgico, cui segue uno splendido e caldissimo tema suonato a pieno quartetto. Voglio ricordare almeno una magia: più avanti, in un momento e con tutta naturalezza, svaniscono la tensione e il calore accumulati ed il primo violino intona il suo tema dell’inizio con voce infantile sopra i pizzicati del violoncello.
Borodin progettò di riutilizzare lo Scherzo in re maggiore come movimento della sua terza Sinfonia. Cajkovskij si oppose all’idea, perché forse pensava che Borodin intendesse comporre una sinfonia sulla base di pezzi preesistenti e di provenienza diversa. La terza Sinfonia rimase incompiuta e Glazunov si occupò di terminarne i primi due movimenti, in parte sulla base del materiale preparatorio dello stesso Borodin, in parte a memoria, avendola ascoltata direttamente da Borodin al pianoforte. Gli interventi a memoria di Glazunov sono del tutto attendibili: lo stesso Borodin raccontò di aver ascoltato eseguire a memoria da Glazunov la Ouverture del Principe Igor', “precisa fino all’ultima nota”.
Lo Scherzo in re maggiore fu pubblicato da Beljaev nel secondo volume della raccolta “Les Vendredis”, assieme a pezzi di Glazunov, Rimskij-Korsakov, Ljadov e altri.
La Serenata alla Spagnola fu l’unica concessione di Borodin alla mania russa per le atmosfere spagnole, cominciata da Glinka e che raggiunse il suo esito più noto con il Capriccio Spagnolo di Rimskij-Korsakov.
Nell’autunno 1886 Borodin contribuì ad un quartetto collettivo dedicato a Beljaev in occasione del suo onomastico, il 23 Novembre (5.XII). Ognuno dei movimenti si basa sul nucleo tematico si bemolle, la, fa - B, LA, F -, in omaggio al dedicatario. Borodin ne parla in una lettera a Katerina: “Korsakov ha fatto il primo movimento, Glazunov il Finale, Ljadov lo Scherzo e io ho scritto una Serenata Spagnola come movimento lento: è davvero un pezzo molto strano ma suona bene (…). L’ho scritto di getto con il massimo della spontaneità”. La Serenata comincia con accordi pizzicati di tutti gli strumenti. Poi, la viola, accompagnata dai pizzicati degli altri e con accattivante ingenuità, intona un po’ cerimoniosa il motto B, LA, F. Una sezione centrale muove da un tema un po’ indolente del primo violino ad un crescendo di concitazione su di un caratteristico ritmo spagnoleggiante. Una cascata di pizzicati e si ritorna alla viola. Ancora la viola chiude con una piccola e ingegnosa cadenza sulle note del motto.
“Sono solo un musicista della domenica” disse Borodin, con modestia, quando incontrò Liszt per la prima volta, e l’averlo detto, così come l’essere chimico, gli si è ritorto contro nel giudizio corrente sulla sua musica. “Ma la domenica è sempre un giorno di festa”, rispose Liszt.
Fulvio Luciani
Milano, 18 IV 1997
Un ringraziamento a Ugo Martelli e Franco Pulcini.