leggi

 

Haydn. Due ritratti e un diario

Letto da Fulvio Luciani per Leggio, settembre - novembre 2004


Mi piacciono le biografie dei musicisti, come mi piacevano i libri che si leggevano da ragazzi.

Ci sono storie meravigliose: amori, misteri, intrighi, viaggi, qualche volta odor di zolfo, delitti, fortune favolose, come in ogni avventura che si rispetti.

Ma non sono attratto dalla biografia di un compositore di cui non conosco la musica. Senza musica ogni storia mi sembra banale, uguale a tutte le altre.


La mia personale riflessione è condizionata dall’esperienza diretta. La sola lettura di una partitura non mi è sufficiente: per me è necessario poter suonare. Ne ho bisogno più e più volte: solo così mi sembra di poter cogliere particolari che diversamente mi sarebbero sfuggiti, e costruire una trama di relazioni tra loro.

Il più delle volte costruisco castelli di sabbia, inseguo fantasmi: un minimo dubbio, una minima contrarietà e i fantasmi si dileguano, e dei castelli non rimane nulla. Eppure, questo percorso tortuoso e inconcludente mi è necessario. Devo conoscere nel profondo, misurare me stesso con ciò che suono. Prima, non sono in grado di dar conto di niente. Dopo, ho la sensazione che possano essere giuste anche scelte che razionalmente non sarei stato in grado di spiegare. Giuste per me, intendo, in quel preciso momento.


Forse dovrei dire che per me la musica è il suono, non altro. Forma, struttura, linguaggio, a dispetto del loro grado di complessità, non esprimono nulla.

Al suono sono affidati i significati profondi, un po’ come allo sguardo: non possiamo comandarlo, può tradirci, ma è il canale di comunicazione del più profondo di noi con tutto ciò che incontriamo.

Attraverso lo sguardo, senza dar ascolto alle parole, noi conosciamo le persone e comunichiamo con loro. Credo sia lo stesso attraverso il suono.

Come lo sguardo, il suono è un mistero per noi stessi. Non possiamo avere il suono che vorremmo, il nostro può non piacerci. Ma è l’espressione della parte più intima di noi, che non siamo in grado di nascondere, né di costruire ad arte.


Leggendo le biografie non mi accontento di una ricostruzione documentata, cerco l’emozione di un incontro di persona. La memoria del suono mi è d’aiuto.




Il volume raccoglie le prime due fra le biografie di Haydn e la parte superstite dei diari tenuti durante i viaggi a Londra. Autori delle biografie sono Georg August Griesinger, agente editoriale per Breitkopf & Härtel, e Albert Christoph Dies, pittore paesaggista per qualche tempo al servizio del principe Esterházy.

Il confronto fra le tre fonti mostra irresistibili incongruenze. Memorabile il caso dell’incontro londinese con Giardini.

Racconta Griesinger: “Un lord lo introdusse presso il violinista Giardini. Erano nell’anticamera, si fecero annunciare e sentirono chiaramente che Giardini diceva al domestico «Non ho nessuna voglia di incontrare quel cane di un tedesco!» Il lord rimase sconcertato, ma Haydn trovò la cosa molto divertente e poco dopo andò ad ascoltare un concerto di Giardini”.

Precisa Dies: “Haydn, nascosto tra la gente, ammirò l’abilità del virtuoso […] e gli perdonò il suo cattivo umore attribuendolo all’età avanzata”.

Commenta Haydn, nel diario londinese: “Giardini […] ha suonato come un maiale”.


Ma quel che importa è che le due biografie nascono dall’incontro diretto con Haydn.

Fra tutti, voglio segnalare due episodi la cui scelta è in una certa misura suggerita da quanto detto fino ad ora.

Per ben due volte Haydn si trovò costretto a convincere chi aveva creduto di riconoscerlo di essere davvero se stesso. Lo racconta Dies, riassumo la sostanza.

Una volta, a Vienna, passando in carrozza, Haydn sentì che nell’abitazione di un conte si stava eseguendo una delle sue sinfonie. Fermò la carrozza, salì le scale e si fermò dietro una porta ad ascoltare.

Mentre un domestico cercava di scacciarlo la porta si aprì improvvisamente, un musicista lo riconobbe e Haydn venne condotto a forza nella sala, ammirato da tutti.

All’improvviso una voce sovrastò le altre: “Questo non è Haydn! non può essere lui! Haydn è sicuramente un uomo alto, bello, distinto e non un essere piccolo, insignificante come questo individuo che avete lì in mezzo”.

Era la voce di un abate italiano, ammiratore della sua musica.

Un’altra volta, in una locanda a Wiesbaden, pur di essere creduto fu costretto a mostrare ad alcuni ufficiali prussiani, suoi ammiratori e che stavano suonando la sua musica, una lettera che aveva ricevuto dal re.

Dicevano: «Impossibile! Impossibile! Impossibile! Voi siete Haydn? Un uomo già così vecchio? E com’è possibile conciliare la vostra età con il fuoco della vostra musica? Non ci crederemo mai!».

Insomma, non si riusciva a far coincidere l’immagine reale con quella che ci si era fatta ascoltando la sua musica.


Haydn racconta questi avvenimenti ormai indebolito dagli anni, spesso confondendo date e circostanze. Ma era stato uomo di spirito. E aveva capito bene quanto fosse diverso incontrare la sua musica dall’incontrare la sua persona.

Racconta Griesinger: “Una volta Haydn e Dittersdorf passeggiando per le strade di Vienna sentirono provenire da una birreria le note di alcuni minuetti di Haydn, suonati piuttosto male. «Andiamo a divertirci un po’!»; entrarono, si fecero portare da bere e rimasero ad ascoltare per un poco di tempo. «Di chi sono questi minuetti?» chiese alla fine Haydn. Venne fatto proprio il suo nome; «Ah! Sono davvero brutti!», rispose. I suonatori si adirarono al punto che uno gli avrebbe fracassato in testa il violino se non fosse scappato in fretta”.


Fulvio Luciani