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Mario Castelnuovo-Tedesco. Musica per violino e pianoforte.

dal booklet del CD Brilliant Classics 95927 - 2020




Per anni il nome di Mario Castelnuovo-Tedesco è stato associato all’idea di una piacevole retroguardia: un compositore a cui non si poteva non riconoscere un talento, ma senza importanza. Si era abituati a pensare che la strada maestra della musica nel Novecento fosse quella della seconda scuola di Vienna e poi dell’Avanguardia, e che tutto quanto non fosse schierato sul quel fronte non meritasse interesse. Così, di Castelnuovo-Tedesco, che su quel fronte non era schierato, fu facile dimenticarsi, quando alla promulgazione delle leggi razziali fasciste, lui, ebreo, decise di lasciare l’Italia.


La prima parte della sua vita si era svolta a Firenze, dove si era formato alla composizione sotto la guida rigorosa di Ildebrando Pizzetti, e aveva intrapreso con successo la carriera del compositore, con esecuzioni di interpreti come Toscanini, Mitropoulos, Koussevitzky, Heifetz, Gieseking, Piatigorsky e Segovia, l’assoluto non plus ultra di quell’epoca.

Il segnale di quel che stava per accadere in Italia venne dalla richiesta di togliere il suo secondo Concerto per violino dal programma di un concerto. Poco dopo si seppe che identico trattamento era stato riservato - e al giorno d’oggi suona incredibile! - al Concerto di Mendelssohn. Allora fu chiaro che il bando riguardava la musica di compositori ebrei, come già stava accadendo in Germania.

Castelnuovo-Tedesco era stato amico in gioventù di Alessandro Pavolini, divenuto un gerarca fascista. Protestò con lui con una lettera in cui rivendicava l’italianità sua e della sua musica. Ricevette una risposta di circostanza. Non restava che cercar rifugio all’estero, e la scelta cadde sugli Stati Uniti.


Negli Stati Uniti Castelnuovo-Tedesco arrivò in nave, in una afosa alba estiva. Il momento è raccontato nel terzo movimento del Concerto n.3 per violino e pianoforte: le sirene che ululano nella nebbia, la skyline che prende forma poco a poco, le musichette e il chiasso che provengono da terra, e la preghiera di una suora rimasta sola a poppa nave dimentica di tutto, «cogli occhi fissi all’oceano che avevamo attraversato».

Il Concerto n.3 segna dunque il punto in cui la vita di Castelnuovo-Tedesco viene spezzata in due, il crocevia tra la gioventù agiata a Firenze e la vita da rifugiato negli Stati Uniti, con la necessità di ricominciare tutto da capo. Fu una commissione del celebre violinista Jascha Heifetz (che si era adoperato per favorire  il suo ingresso negli Stati Uniti e glielo chiese anche per offrirgli una opportunità di lavoro), e costituisce una specie di diario intimo delle circostanze che lo avevano costretto all’esilio.

Il primo movimento narra lo sconcerto per il «colpo improvviso che si era abbattuto sulla mia vita», come lui stesso scrive nella sua bella autobiografia. Il secondo è un tenero e malinconico addio ai luoghi cari, su un tema che immaginò nell’istante in cui stava per lasciare la casa nella campagna toscana dove amava rifugiarsi, che lasciò in un cassetto come buon augurio di poterci tornare.

Del terzo movimento abbiamo detto, e proprio su quello si appuntarono le critiche di Heifetz. Heifetz aveva chiesto un pezzo propriamente per violino e pianoforte, non una riduzione dall’orchestra né «il surrogato di una Sonata» - «mi disse anzi di averne chiesto uno anche a Prokofieff; ma questi, forse più saggio di me, non l’aveva mai scritto» - ma non fu contento del finale: ne avrebbe forse desiderato uno più consono alla macchina dello spettacolo concertistico. Castelnuovo-Tedesco cercò di accontentarlo, ma il Concerto aveva un contenuto autobiografico che non poteva essere ignorato né cambiato. Così Heifetz non lo suonò mai, e dal 1939, quando fu scritto, il Concerto n.3 rimase ineseguito fino alla nostra esecuzione, mia e di Massimiliano Motterle, a Milano nel 2016, e inedito fino al 2017, quando è stato pubblicato dall’editore Curci. È, io credo, un’opera capitale nel catalogo di Castelnuovo-Tedesco, di un’intensità espressiva insolita nella sua produzione.


Attorno al Concerto, in questo CD sono collocate composizioni del periodo italiano. La prima, Notturno adriatico, fu scritta sulle isole Brioni, di fronte all’Istria, nel 1924. È l’anno del matrimonio con Clara Forti, un matrimonio felice per tutta la vita, e le Isole Brioni furono un luogo caro alla coppia. È fin troppo facile descrivere Notturno adriatico come una musica d’acqua, e trovargli gli illustri precedenti che ha nella letteratura pianistica. Forse sarebbe più giusto descriverlo come una musica di luce, luminosa, mutevole e felice.

Le seconde sono una coppia di formidabili miniature, Sea murmurs e Tango, frutto della collaborazione con Heifetz, che nel 1932 trascrisse per proprio uso due songs da The Passionate Pilgrim (songs from Shakespeare's Tragedies and Comedies) op. 24, le rese celebri con le sue esecuzioni, e le incise in disco. Heifetz era stato il dedicatario del secondo Concerto per violino e orchestra “I Profeti” op.66 nel 1931, e del Poem in the form of a Rondò “The Lark” dello stesso anno.


A conclusione sono due importanti trascrizioni da musiche pianistiche, Tre Intermezzi, dall’op.117 di Brahms, e Preludes, una scelta dai Preludi op.28 di Chopin. Sono trascrizioni molto raffinate, nelle quali il gioco è trasferire al duo violino e pianoforte composizioni che più pianistiche non potrebbero essere, specchiarle in un nuova voce e rivelarne così i tratti più nascosti. Sono gesti d’amore di un pianista che chiamano in causa il violino. Il risultato ha naturalezza e verità sorprendenti.

I Tre Intermezzi furono scritti tra 1947 e il 1951, e pubblicati da un piccolo editore americano nel 1953 con una dedica al violinista Tossy Spivakovsky, mentre Preludes furono scritti nel 1944 in una serie di 11 cui è stato aggiunto un dodicesimo in un secondo tempo, e sono tutt’ora inediti. Abbiamo la fortuna di poterli suonare direttamente dal manoscritto, per generosa concessione degli eredi.


La seconda vita statunitense non fu professionalmente fortunata come la prima in Italia.

Castelnuovo-Tedesco provò ad accreditarsi come pianista - il suo debutto americano fu con il suo Secondo Concerto alla Carnegie Hall, con la New York Philharmonic Orchestra sotto la direzione di John Barbirolli -, ma la responsabilità della famiglia lo costrinse a cercare lavoro sicuro. Lo trovò nella fiorente industria del cinema, prima come dipendente della MGM, poi come collaboratore esterno della stessa MGM e di altri studios cinematografici, apprezzatissimo per la rapidità nel concludere i lavori più complicati che gli veniva dal suo solidissimo mestiere.

Così, il capitolo forse più significativo della sua seconda vita fu l’insegnamento. Furono suoi allievi John Williams, Henry Mancini e André Previn, per citarne solo alcuni, in un rapporto privato, fuori dalle istituzioni, dunque ancor più significativo perché liberamente cercato. Previn diceva che aver studiato con Castelnuovo Tedesco era un requisito indispensabile per qualunque musicista californiano, sia del cinema che del jazz della costa occidentale.

Oggi che il pregiudizio cui abbiamo accennato all’inizio sembra definitivamente superato, e che perfino i Wiener Philharmoniker hanno eseguito in concerto le musiche di Star Wars, abbiamo l’occasione per guardare alla storia musicale del Novecento con sguardo più lucido e da un nuovo punto di vista. Così la vicenda di Castelnuovo-Tedesco assume rilievo oltre che per la bellezza della sua musica anche per aver saputo gettare un ponte tra la più alta tradizione musicale colta europea e la cultura americana, in una delle sue manifestazioni più vive e popolari com’è quella dell’industria cinematografica hollywoodiana.


Fulvio Luciani