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Piero Guarino. Talento alessandrino

“Bello e fascinoso”, dall’ Egitto all’Italia, fu pianista, compositore, docente, direttore, organizzatore: un protagonista del ’900

Amadeus, novembre 2013


Nel 1980, il Quartetto Italiano cessava improvvisamente la sua attività. Dei suoi componenti, solo Elisa Pegreffi non aveva mai insegnato, e Piero Guarino, allora direttore del Conservatorio di Parma, le propose immediatamente di assumere l’impegno della classe di quartetto. Era quel che andava fatto, ma nemmeno allora eravamo abituati ad un direttore di Conservatorio così svelto di mano. Non conoscevo Guarino, ma mi colpì l’intraprendenza di quella mossa.


Mi sono imbattuto in lui una seconda volta durante le mie ricerche su Lionello Forzanti, il violista che lasciò il Quartetto Italiano per cercare fortuna nelle Americhe come direttore d’orchestra. Com’è noto, il Quartetto Italiano si formò all’Accademia Chigiana nella classe di Arturo Bonucci, importante violoncellista e componente del Trio Italiano con Casella e Poltronieri. La Pegreffi e Forzanti erano allievi di Bonucci anche all’Accademia di Santa Cecilia in Roma, e lì studiava anche Guarino; i tre si presentarono all’esame finale insieme agli allievi confermandi Luciano Rosada, violinista, e Giorgio Menegozzo, violoncellista, personaggi anch’essi meritevoli di essere ricordati: Rosada sarà direttore dei balletti alla Scala, dopo aver fatto gavetta come direttore delle luci, e in seguito direttore artistico e stabile dei Pomeriggi Musicali e direttore stabile dell’Orchestra di San Remo; Menegozzo sarà violoncello dell’Orchestra Scarlatti di Napoli e docente di violoncello al Conservatorio di Napoli e a quello di Bari.

L’incontro tra compagni di corso così notevoli non era un caso speciale: è un fatto che tra Accademia di Santa Cecilia e Accademia Chigiana fossero raccolti tutti i protagonisti della vita musicale italiana degli anni a venire, a compiere esperienze comuni e stabilire legami, e lo capiamo fin dalla prima testimonianza contenuta nel bel libro dedicato a Guarino a vent’anni dalla scomparsa, curato da Micaela Guarino e pubblicato da Albisani, quella della pianista Lya De Barberiis: “C’era anche Piero [Guarino], c’era Camillo Togni, c’eravamo tutti”, dice la De Barberiis, dopo aver fatto i nomi - e ne cito solo alcuni - di Alfredo Casella, Enrico Mainardi, Eugenio Bagnoli, Bernardino Molinari, Arrigo Serato, Ildebrando Pizzetti, Vito Frazzi, Antonio Guarnieri tra i docenti, Roman Vlad, Pina Carmirelli, Anna Maria Cotogni, Armando Renzi, Riccardo Brengola tra i compagni di studi. Sommateli a quelli che ho già ricordato e ai moltissimi altrettanto illustri che compaiono nel libro, e avrete l’idea di un cenacolo. Non c’è stato più niente di simile in Italia, ed è argomento su cui sarebbe bene riflettere.


Tra tutti questi studenti brillanti Guarino ha il vantaggio di possedere una cultura internazionale. Nasce nel 1919 ad Alessandria d’Egitto - come Ungaretti e come Marinetti -, e lì riceve un’educazione di cultura francese. La mamma e una zia suonano il pianoforte ma non appartiene ad una famiglia di musicisti. A sei anni chiede una mappa per decifrare la musica e la zia gli dà due scale, una in chiave di violino e una in chiave di basso; con quelle accanto allo spartito impara a leggere e si ingegna a ridurre alla dimensione delle sue mani di bambino fino alle Sonate di Beethoven. A diciassette anni si trasferisce ad Atene dove tre anni dopo si diploma in pianoforte. La commissione d’esame è presieduta da Dimitri Mitropoulos, ed è il primo candidato ad essere premiato con medaglia d’oro dopo la grande pianista Gina Bachauer.

Il trasferimento a Roma nel 1940 è per perfezionarsi in pianoforte con Alfredo Casella. Cinque anni più tardi, ventiseienne, è di ritorno ad Alessandria e per la prima volta mostra tutte insieme le sue molteplici attitudini di pianista, compositore, docente e divulgatore, direttore d’orchestra, organizzatore. Per dirla con le parole di Paolo Terni, anch’egli alessandrino di nascita: “bello e fascinoso com’era, esercitò una tale seduzione di massa da riuscire, in poco tempo, a organizzare [...] un vero e proprio movimento musicale”.

Tiene conferenze con esecuzioni al pianoforte, introduce in Egitto la musica contemporanea - “abbiamo imparato ad andare oltre la musica classica e ad apprezzare i suoni spesso discordanti della musica atonale e dodecafonica, a conoscere Schönberg, Dallapiccola, Nono, Malipiero, ad ascoltare e sapere anche commentare musiche di Hindemith e di Berg”, ricorda Fay Banoun Caracciolo - e si tenga presente a quali anni fa riferimento -, dà vita ad un’orchestra da camera che dirige e che ha come ospiti, tra gli altri, Riccardo Brengola, Enrico Mainardi e Guido Agosti, pubblica una rivista in lingua francese, Rythme, della quale è direttore responsabile e alla quale collabora Roman Vlad, ma quel che più impressiona è che nel 1950, a soli trentun’anni, fonda di propria iniziativa, come lui stesso scrive con giusto orgoglio, il Conservatoire de Musique d’Alexandrie, poi riconosciuto e sovvenzionato dal governo, che dirige fino al 1960. Al Conservatoire invita personaggi come Francis Poulenc, Jacques Ibert, Daniel-Lesure, Amedeo Baldovino, Bruno Giuranna, Sergio Perticaroli, Lya De Barberiis, Armando Renzi e Guido Turchi.


Dal 1960 è definitivamente in Italia e partecipa ad una quantità di imprese: la direzione dell’Orchestra dell’Accademia Musicale Napoletana, fondata da Casella, la direzione artistica e stabile del Complesso strumentale de “L’Agostiniana” a Roma, la creazione dell’Associazione Pergolesiana e la direzione della sua orchestra, assieme a Virgilio Mortari, Luciano Chailly, Valentino Bucchi, Roman Vlad, Antonio Perez e Vera Bertinetti, l’attività didattica nei corsi estivi di Pamparato, di Lanciano e presso la Sommerakademie del Mozarteum di Salisburgo, l’attività di pianista, sia come solista particolarmente dedito al repertorio francese che come raffinato camerista - e per una vivida immagine delle sue qualità di camerista, che molto raccontano della sua psicologia e dei suoi talenti, segnalo l’acuta testimonianza di Gianluigi Gelmetti -, l’attività di compositore e il duo con Enrico Mainardi prima - con presenze al Festival di Berlino e alla Konzerthaus di Vienna - e poi con la splendida violoncellista Donna Magendanz, e il molto altro che é raccontato nel libro.

Qui, invece, ancora una parola sul suo impegno come direttore di Conservatorio, prima a Sassari e poi a Parma.


A Sassari raccoglie un formidabile gruppo di giovani docenti e, guadagnatosi il sostegno della Regione, fa del Conservatorio un centro vivo di produzione musicale: organizza concerti, conferenze, produzioni orchestrali e operistiche - L’Oca del Cairo di Mozart presentata da Fedele D’Amico, Orfeo ed Euridice di Gluck, ma anche Una notte in Paradiso di Valentino Bucchi con la regia di Vera Bertinetti -, a cui partecipano docenti, studenti e ospiti prestigiosi (Enrico Mainardi, con le Suites di Bach). È dotato di un intuito formidabile e ha una capacità di coinvolgere senza lasciar scampo. A Don Antonio Sanna, direttore del Coro Polifonico Turritano, che gli chiede come possa fidarsi a propor loro una collaborazione senza averli mai ascoltati risponde che gli è stato sufficiente leggere i programmi dei loro concerti.

Ha anche un certo senso del teatro, come quando prova regolarmente salvo poi lasciare la bacchetta a un giovane inesperto ma di talento, Riccardo Chailly, di cui è il maestro e che già aveva tenuto a battesimo: “Ricordo ancora il mio debutto assoluto nella casa dei miei genitori a Roma, dove la piccolissima orchestra “domestica” era formata da Piero Guarino al pianoforte e Donna Magendanz al violoncello”.


A Parma fa lo stesso. Dà impulso all’orchestra, organizza seminari, stagioni di concerti e concerti per le scuole, corsi di aggiornamento, incontri con grandi personalità (Cathy Berberian, Franco Donatoni) e master per gli studenti, con la volontà di inserire il Conservatorio nel tessuto della città e di farne “non solo una scuola, ma un vero polo culturale”, come dice Gianni Cossio.

Ma fa ancor di più: crea, nel 1977-78, il primo Liceo Sperimentale Quinquennale in Italia. Ne studia la struttura insieme al corpo docente, con l’idea di creare un percorso di apprendimento in cui disciplina dello strumento e materie musicali non siano semplicemente sommate alle materie della scuola secondaria, ma armonizzate in un percorso comune e coerente.

Quella del Liceo nei Conservatori fu una gloriosa stagione di rinnovamento in Italia, della quale Guarino fu alla testa. Dispiace vedere in che stato siano oggi i Licei musicali.


Dicevo che non ho conosciuto Guarino, ma ho sempre sentito magnificare il suo suono, in termini tanto coerenti da far sembrare che tutti condividano lo stesso ricordo. Come dallo sguardo, anche dal suono di un musicista si può capire molto della persona, forse più di quello che lui stesso conosca.

Il suono di Piero Guarino era, dalle descrizioni, un suono raffinato, colto, sensibile. Non l’ho mai ascoltato, ma credo che lo riconoscerei.


Fulvio Luciani