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Schumann, integrale per violino e pianoforte
Quella per Schumann è per me una passione antica. Certo, se devo dire qual è il mio compositore preferito mi è sempre piaciuto dire Schubert. Poi, però, ho suonato tutto il Beethoven per quartetto, quando ho deciso di farmi un regalo ho suonato tutto Bach, non posso non ammettere che la musica di Mozart è sempre almeno meravigliosa e che vorrei suonarla sempre - e vorrei non suonarla mai, per quanto il risultato è sempre lontano da quel che desidererei -, ed ora ho in testa Brahms e non so quante altre cose. Ma, in fondo, almeno per un violinista, quella per Schumann non può che essere una passione periferica e un po’ segreta.
La mia storia con Schumann inizia da studente. Proposi al mio maestro di studiarne il Concerto, intorno all’ottavo, nono corso. Era una richiesta strana, perché il Concerto, allora come adesso, i violinisti non lo suonavano, ed io stesso non saprei dire dove e da chi l’avessi ascoltato. Ne leggemmo una parte, poi studiai altro, ma conservo ancora la parte che il mio maestro aveva cominciato a diteggiare per me.
In seguito, nei miei concertini da studente durante il corso superiore, presi a suonare la prima Sonata. Una volta diplomato, Borciani mi propose di studiarne il terzo Quartetto ad un corso estivo, e questa è la prima delle esecuzioni schumanniane cui ho partecipato a lasciare una traccia di sé, perché il saggio finale del corso, in Sala Verdi, fu registrato in video e mandato in onda dalla Rai. Quella di Borciani era una scelta forse ancor più strana della mia da studente, perché i Quartetti di Schumann, e il terzo in particolare, sono così poco affini al resto del repertorio per quartetto e per strumenti ad arco in generale da rappresentare un impegno da non sapersi come affrontare per un quartetto non ancora formato. Certo, Borciani sapeva bene quel che faceva, e per noi fu esaltante poter suonare quella musica.
Il terzo Quartetto rimase nel repertorio del Quartetto Borciani; ricordo, in un’epoca remotissima, che un’esecuzione dal vivo del terzo movimento fu mandata in onda in una qualche trasmissione di Radio3. Poi, fu la volta del Quintetto con pianoforte con Orazio Maione, la nostra prima collaborazione con uno strumentista ospite, proposta dagli Amici della Musica di San Giorgio del Sannio. Suonammo il Quintetto anche con Juan Carlos Garvayo al Festival di Spoleto, poi per anni non si aggiunse altro; fino al 2001, quando forti del successo del ciclo Beethoven a Milano ne presentammo uno dedicato a Schumann, all’Auditorium, per l’organizzazione della Verdi. Quella volta suonammo tutti i Quartetti, il Quintetto con Paolo Bordoni, ed io suonai un programma per violino e pianoforte che comprendeva prima e seconda Sonata e le Romanze, con Riccardo Zadra. Suonammo l’Intermezzo della Sonata opera postuma come bis, suscitando la sorpresa del pubblico al sentirlo annunciare tratto dalla terza Sonata, perché che le Sonate di Schumann fossero tre era un dato ancora sconosciuto. I concerti all’Auditorium furono tre, tutti trasmessi in diretta da Rai Radio3.
Mi piaceva moltissimo suonare i Quartetti ma, un po’ perché non c’era altro da mettere in repertorio, un po’ perché il 2001 era vicino al 2005 quando il Quartetto si è sciolto, non ci sono altre tappe significative da segnalare, se non l’esecuzione integrale dei Quartetti più l’Op.5 di Webern in due concerti al Teatro di San Carlo a Napoli - tutto quanto ogni volta! -. La sigla della vicenda schumanniana del Quartetto è forse nel bis del concerto alla Scala, quando eseguimmo il secondo movimento Assai agitato dal terzo Quartetto, quello studiato con Borciani tanti anni prima; fu, naturalmente, un momento particolarmente felice. Parlammo con Amadeus per fare un disco ma poi si optò per Schubert, e non facemmo a tempo ad eseguire nulla nel ciclo trevigiano alla Fondazione Benetton. Da solo, però, la vicenda continuò eccome.
Finito il Quartetto, con Riccardo Zadra decidemmo di completare la terza Sonata e fummo invitati ai Concerti del Quirinale di Radio3 dove la eseguimmo insieme alla Sonata in re minore. Lo stesso anno suonammo a MiTo un programma che comprendeva ancora la Terza Sonata, la Ciaccona di Bach nella versione di Schumann con pianoforte, e il secondo Trio, con Stefano Guarino. Poi, arrivammo alla registrazione per Amadeus e per Classica. Registrammo “in studio” per il disco, e “dal vivo” per i video. Intendo: registrammo come si fa sempre per Amadeus, ma per Classica facemmo sempre e solo esecuzioni complete. Così, disco e video risultarono diversi, pur realizzati nello stesso luogo, con la stessa troupe tecnica e in giorni immediatamente conseguenti.
Fu l’occasione per un approfondimento anche umano e personale. Le sessioni e il lavoro di editing furono seguiti da Classica, che ne ricavò un documentario, “Il virtuosismo interiore”, Amadeus ci intervistò, altrettanto fece Classica. Insomma, ci fu l’occasione anche per fermarsi a pensare, non solo per fare.
Dopo anni ho suonato Schumann anche con Massimiliano Motterle. È stato quando abbiamo deciso di costruire un ciclo “Intorno a Brahms” - come poi si è chiamato -, andato in scena all’Auditorium di Milano per la Verdi. Schumann è stato il viatico a Brahms, nei nostri concerti così come fu nella realtà, ed anche il punto di vista della nostra lettura. È stata un’esperienza tutta diversa dalla precedente, perché Schumann richiede al suo interprete una capacità di invenzione tale da far perder di senso all’idea stessa di una visione personale da proporre al proprio partner, di un personale stile interpretativo, a tutto favore di un’esperienza da condividere nel profondo, il cui esito non è nemmeno del tutto preordinabile.
Il passo successivo è stato quello di “Romantico Bach”, ancor per la Verdi, tutto costruito intorno alla versione con pianoforte di Schumann delle Sonate e Partite di Bach, la prima traccia lasciata nella nostra cultura da questa raccolta rimasta dormiente per più di un secolo prima di allora.
Se guardo indietro, forse è proprio Schumann l’autore che mi ha sempre accompagnato in questi anni. Non l’avrei detto, e forse non l’avrei desiderato, ma non credo sia stato un caso se è successo.
Schumann aveva in testa un violino diverso da quello che hanno in mente i violinisti, non il solito bellone un po’ pieno di se stesso ma una specie di macchina della verità, in grado di svelare i nostri pensieri più nascosti. Col violino non è questione di abilità ma di pensiero: non riuscirai mai a suonare “come vuoi” perché quel “che sei” e che pensi scapperà sempre, fuori dal tuo controllo. Se ti arrendi, può essere molto interessante. Se impari ad ascoltarti può essere che tu impari a conoscerti. Sennò, ti aspetta una vita grama, ma potrai sempre sperare di ingannare i tuoi ascoltatori con qualche bravata. Allora, Schumann semplicemente non lo suonerai.