cantiere
intorno a brahms
4° concerto
1 dicembre 2013 , ore 11
Auditorium di Milano, Largo Gustav Mahler
4* concerto
Il fiore di una giovinezza, l’ultima maturità
Mendelssohn: Movimento di Sonata per violino e pianoforte, incompiuto
Bach: Ciaccona, versione con pianoforte di Felix Mendelssohn Bartholdy
Schumann: Sonata in la minore opera postuma
Brahms: Sonata in mi bemolle maggiore op.120.2, versione originale per violino
Fulvio Luciani, violino
Massimiliano Motterle, pianoforte
note di lavoro: il fiore di una giovinezza, l’ultima maturità
Tutti noi, io credo, guardiamo con un’attenzione particolare alle parole che segnano il congedo dalla vita. In esse cerchiamo forse un messaggio, e di esse ci serviamo per rileggere ciò che è stato. Per uno strano caso, qualche volta quelle parole hanno la spontaneità che ci aspetteremmo dalla parola di un fanciullo, e accade anche, per converso, che le parole di questi ultimi sembrino provenire dall’esperienza di una vita che invece precedono. Tutto ciò vale anche per la parola d’arte.
L’ultimo programma di questo piccolo ciclo raccoglie opere poste alle estremità delle vite dei loro autori: un movimento di Sonata di Mendelssohn ragazzo, l’ultima composizione di Schumann, quasi l’ultima di Brahms. E la Ciaccona, nella versione con pianoforte che Mendelssohn scrisse purché i violinisti si decidessero finalmente a suonarla.
Mendelssohn morì trentanovenne nel 1847. Brahms aveva solo quattordici anni e non lo conobbe mai, se non attraverso la sua musica.
A soli quattordici anni Mendelssohn scrisse un primo tempo di Sonata per violino e pianoforte che non terminò, forse perché - rubo ad Alessandro Solbiati, che me lo ha fatto conoscere - il progetto intrapreso era troppo vasto e ambizioso. Non è la musica di un quattordicenne, seppur di talento. È una musica nuova, nel contenuto, nella narrazione e nella scrittura soprattutto per il pianoforte; nuova non grazie all’esperienza, alla riflessione, all’analisi o a scelte compiute: è, semplicemente, la musica di una persona che vede il mondo con occhi diversi dal passato, e che da subito e con naturalezza ce lo mostra.
Il movimento si interrompe a battuta 367, dopo aver superato la dimensione abituale di un movimento completo, in una maniera che ha una sua affascinante e strana naturalezza, come se lì dove è giunto il discorso lo si potesse tralasciare.
Mendelssohn fu l’artefice della riscoperta di Bach, e anche della “scoperta” della sua musica per violino solo.
È grazie a Mendelssohn se nel 1840, ben più di un secolo dopo che era stata scritta e a decenni dalla pubblicazione, si ha finalmente la prima esecuzione della Ciaccona grazie all’idea di aggiungere una parte di pianoforte a quella del violino, una volta capito che, abituati ad essere sempre accompagnati, a solo com’è scritta i violinisti non l’avrebbero suonata mai. Il violino ha un’indole protagonista, ma per lui solo non significa da solo. Semmai, solista: al centro dell’attenzione, con tutti al suo servizio. Bach toglie al violino il sostegno di un accompagnamento, e rende plurale la sua voce con un sortilegio della scrittura che vince il limite che il violino ha di poterne produrre una sola. Non si può capire la ritrosia dei violinisti, ma la si può spiegare.
Alla Ciaccona si interessano prima i pianisti: Mendelssohn, che nell’esecuzione di cui si è detto sedeva al pianoforte, Schumann, che era presente e ne fu così conquistato da decidere di scrivere una parte di pianoforte per l’intera raccolta delle Sonate e Partite. E Brahms, che anni dopo decide di trasportare la Ciaccona sul pianoforte - lo strumento emblema della solitudine - in una versione che con due semplici colpi di genio, la limitazione all’esecuzione con la sola mano sinistra e la trasposizione un’ottava più in basso, è fedele e originale al tempo stesso.
La Ciaccona non è un’opera né giovanile né senile, ma questa versione racchiude simbolicamente questi estremi: è, secondo alcuni, un pezzo funebre in memoria della prima moglie Maria Barbara, ed è in questa versione che nasce nella coscienza degli ascoltatori. Si dovrà attendere il Novecento inoltrato per avere esecuzioni non accompagnate della musica di Bach per violino solo.
Nel primo concerto avevamo ascoltato la prima composizione conosciuta di Brahms dedicata al violino e pianoforte, lo Scherzo contenuto in quella Sonata collettiva scritta da Schumann, Dietrich e Brahms in onore dell’amico Joachim. Di quella Sonata Schumann aveva scritto due movimenti, l’Intermezzo e il Finale; subito dopo averne fatto omaggio all’amico decise di scriverne altri due, a completare una Sonata tutta propria che sarà la sua ultima composizione. La Sonata è breve, di un’intensità accecante, estrema, perfino violenta nelle rovine dei movimenti esterni; semplice e spontanea, da far pensare ad una pagina scritta in tutt’altra epoca giovanile e piena di felicità, nel meraviglioso Intermezzo. L’ultima parola di Schumann è insieme rabbiosa come se dolcezza non esistesse, e tenera come non esistesse violenza.
Brahms e Clara Schumann non inclusero la Sonata nell’edizione delle opere complete e si dovette attendere il 1956 per vederla pubblicata. Stesso destino ebbe il Concerto per violino; perduto, fu ritrovato in circostanze da libro giallo dalle nipoti di Joseph Joachim, Jelly d’Arányi, dedicataria della Tzigane di Ravel, e Adila Fachiri, anch’essa un’importante violinista, che in una seduta spiritica ricevettero da Brahms la notizia della sua esistenza e l’invito a cercarlo, e in una seconda, da Joachim, l’indicazione della sua ubicazione in una Biblioteca di Berlino. Concerto e Sonata hanno molto in comune - anche nella fisionomia: un’intera pagina di scale velocissime, ad esempio, nei rispettivi ultimi movimenti -, e costituiscono l’addio all’arte e alla vita nel segno del violino da parte di un autore la cui vicenda è tutta legata al pianoforte.
La composizione che chiude programma e ciclo è la seconda delle due Sonate op.120, scritte per il clarinetto e riscritte per il violino. È una composizione ultima - il catalogo di Brahms arriverà a 122, ma l’ultimo numero fu pubblicato postumo dall’editore, che fece valere i propri diritti testamentari sul materiale rimasto alla morte - ma non estrema, in nessun senso.
Non sempre, in queste note, ho voluto parlare delle composizioni che abbiamo scelto ed eseguito. Più che altro, mi sono perso ad inseguire idee e considerazioni generali, sicuro che, come dev’essere sempre, se saremmo stati capaci di non tradirla, la musica si sarebbe spiegata da sé.
Riguardo questa Sonata, nemmeno volessi saprei come descriverla, se non come luce e non come musica: calda e confortante, luminosa senza essere accecante. In essa non saprei trovare nessun segno di una fine imminente né di un riconquistato candore infantile, come succede qualche volta ai vecchi. C’è confidenza assoluta e se proprio dovessi direi che è una di quelle composizioni che si vorrebbero suonare sempre, e che hanno un effetto benefico.
Le parole estreme ci appaiono significative sia quando mostrano i caratteri della stagione cui appartengono, sia quando la contraddicono, e non è forse che una nostra suggestione, a cui ci permettiamo di indulgere.
Ultime e prime, racchiudono le nostre vite.
Fulvio Luciani
quattro concerti intorno a brahms