beethoven

 

Beethoven, integrale dei quartetti

1997-99

Milano, Teatro Lirico

Novara, Conservatorio di Musica “Guido Cantelli”, Auditorium Fratelli Olivieri

Quartetto Borciani



Le ragioni di un’integrale


E’ curioso, ma, nonostante l’integrale dei quartetti di beethoven sia uno dei riti più significativi dell’esecuzione concertistica, in verità non è mai stata proposta l’esecuzione di tutte le musiche scritte da Beethoven per il quartetto d’archi. Ci si è sempre “dimenticati” di accogliere l’intero capitolo introduttivo alla produzione quartettistica beethoveniana, evidentemente ritenuto non degno. Si è trattato di una esclusione tanto determinata da provocare una censura definitiva, quasi una rimozione dalla coscienza.


L’elenco delle composizioni dimenticate, non brevissimo, è il seguente:

Preludio in re minore (frammento)

Preludio e Fuga all’ottava in fa maggiore H.30

Preludio e Fuga alla decima in do maggiore H.31

Quartetto in fa maggiore H.32 (prima versione dell’Op.18.1)

Minuetto [senza Trio] in la bemolle maggiore H.33

Quartetto in fa maggiore H.34 (trascrizione della Sonata per pf. in mi maggiore Op. 14.1)

Fuga in si bemolle maggiore H.36 (trascrizione della Fuga dell’Ouverture del Solomon di Händel)

Adagio (1824) (introduzione all’ultimo movimento dell’Op.127)

Adagio (prima versione del primo movimento dell’Op.131)


Si tratta in una certa parte di composizioni giovanili e sperimentali, esercizi funzionali all’acquisizione dell’artigianato del comporre per il quartetto d’archi. Ma non solo. Oggi possediamo due versioni dell’Op.18.1 e due versioni del primo movimento dell’Op.131. Si tratta di opere compiute, licenziate dall’autore, nel caso dell’Op.18 addirittura dedicate a persone diverse. Il fatto che ne sia pervenuta una redazione sperimentale offre l’occasione - unica e ben altrimenti significativa che non l’analisi di schizzi e altro materiale preparatorio - di conoscere i meccanismi dell’inventiva beethoveniana. La comparazione con la seconda versione - quella nota - è il luogo più svelato del più doloroso degli esercizi critici, quello verso se stessi, testimonianza di processi e travagli assai più significativa che non l’esame di posizioni estetiche esplicitamente espresse. Qual è il vantaggio a privarsi di tutto questo? Perché non suonare e confrontare le due versioni? Può bastare la considerazione, peraltro ovvia, che la seconda versione è migliore? E cosa dire delle fughe giovanili? Non incuriosisce, almeno come dato psicologico, il fatto che già agli esordi Beethoven scrivesse fughe originali per quartetto e trascrivesse fughe altrui, e che ancora una fuga, la Große Fuge, sia una delle più sconvolgenti pagine dell’estrema maturità? Davvero non esiste un pur tenue filo che leghi questi estremi? Come si può accettare che le prime non debbano essere suonate affatto? E, si badi, questo elenco comprende non solo esercizi di un giovane studente - tra questi, certo non si può annoverare il quartetto Op.18.1 nella sua prima versione, né la trascrizione della Sonata per pianoforte Op.14.1 - ma anche la prima versione di una delle più splendide pagine dell’estrema maturità, il primo meraviglioso movimento dell’Op. 131, segno che nel corso del tempo il sistema inventivo beethoveniano non si era modificato e che ancora, come agli esordi, funzionava per approssimazioni successive.

Se la vera ragione di una integrale - quella di Beethoven in particolare, ché ha scritto quartetti per tutta la vita - è di creare l’occasione per afferrare con un unico sguardo il senso dell’intero percorso evolutivo di un autore, tanto più questi lavori hanno pieno diritto di cittadinanza; dimenticarli significa, in fondo, proporre una prospettiva falsa. La loro introduzione nella coscienza dell’ascoltatore può essere l’occasione per guardare anche a tutto ciò che è universalmente noto da un diverso angolo visuale, e per proporre un’analisi che, non dimentica di essi, può se non raggiungere esiti critici rivoluzionari certo meglio documentare l’evoluzione e il metodo di lavoro beethoveniani.


Le relazioni tra gli esordi e la maturità beethoveniana andrebbero meglio indagate. L’idea che la fortunata distinzione della produzione beethoveniana in tre periodi - le cosiddette tre maniere - tende a suggerire è quasi quella di tre diversi compositori, il primo dotato, il secondo grandissimo, l’ultimo misteriosamente geniale. Si potrebbe addirittura amarne uno solo, senza svantaggio per gli altri. Il risultato è l’idea di una evoluzione lineare, il cui punto di inizio e di conclusione sono i più distanti possibile, che progressivamente accelera il suo moto. Il vero motivo di interesse della ipotesi critica delle tre maniere è, a mio modo di vedere, in tutto ciò che la nega a vantaggio della ricostruzione di una figura unitaria e dell’ipotesi di una sorta di circolarità nel percorso evolutivo beethoveniano.

Un indizio: il materiale musicale - intendo il materiale vero e proprio, i mattoni per costruire, non naturalmente gli esiti espressivi - in qualche caso, è il medesimo nelle prime come nelle ultime, addirittura profetiche, composizioni.

Paolo Borciani, durante una lezione, notava come la cellula di quattro note che apre il Trio in do minore Op.9 compaia rivoltata quasi trent’anni più tardi sotto forma di soggetto della meravigliosa fuga che apre il Quartetto in do diesis minore Op.131 e, aggiungo, identica quanto a struttura melodica - un semitono, un intervallo più ampio, un altro semitono - come soggetto della Große Fuge Op.133 e come tema iniziale del Quartetto in La minore Op.132. Non paia sacrilego, ma anche nel Preludio H.30 - come nel Trio Op.9.3 - c’era già qualcosa di quel materiale. Questo “tema”, quasi una geometria più che un’idea musicale, chiamato “tema-sfinge” dal Mila, era già nell’ultimo contrappunto della bachiana Arte della Fuga, sotto forma di terzo soggetto costruito sul nome di Bach secondo la notazione letterale tedesca (B=si bemolle, A=la, C=do, H=si bequadro); Beethoven, nella Große Fuge, lo usa evidentemente come citazione.

Dunque, quel frammento geometrico di quattro note, disposte in modo da non creare immediatamente un carattere, già presente nella prima giovinezza ed enigmaticamente legato ad un passato arcaico, ha accompagnato Beethoven durante tutta la sua vita creativa, fino all’estrema maturità, fino ad assumere un volto cui concordemente oggi riconosciamo il sapore di una sfida per qualche verso avveniristica che sentiamo assai più vicina a noi di quanto non la potessero sentire i suoi contemporanei. Quella geometria, una specie di serpentone che sospende il moto della musica, compare anche nel primo movimento dell’Op.135, l’ultimo quartetto che sorride al passato.

L’Op.135 è nella stessa tonalità dell’Op.18.1, che Beethoven aveva voluto in apertura alla sua prima raccolta nonostante non fosse il primo in senso cronologico. C’è da interrogarsi se sia così vero che i quartetti dell’Op.18 siano del tutto “settecenteschi” ed anche stilisticamente un po’ rinunciatari e che invece i quartetti dell’estrema maturità siano tanto moderni da scavalcare d’un solo balzo l’intero ottocento e legarsi direttamente alla produzione del pieno novecento - in qualche caso addirittura all’avanguardia - con relativo corredo di prassi esecutive e di modelli stilistici? Sono davvero così distanti? Non potrebbe essere che i quartetti ultimi siano invece assai più arcaici di quanto non si voglia, o i primi più segretamente avveniristici? Un filo ininterrotto non li lega, forse, in una affascinante circolarità?


Nella compilazione dei singoli programmi si è cominciato dal fondo: non si riusciva ad immaginare conclusione più autentica, più poetica, che non la coda dell’Op.135, col tema di marcia, sorridente come una Gioconda, pizzicato in pianissimo. Si è scelto, comunque, di non rispettare l’ordine cronologico, bensì di cercare accostamenti che potessero mostrare affinità o contrasti significativi, o anche la significativa assenza di questi. In ogni concerto si sono volute inserire opere giovanili accanto ad opere mature, per mostrarne, a un tempo, la spaventevole distanza e la possibile contiguità.

Alcune scelte potranno apparire inconsuete. L’uso, ad esempio, del Finale dell’Op.130 quasi fosse il quinto movimento dell’Op.74, ciò che è possibile grazie ad una parentela armonica: l’Op.74 è in mi bemolle maggiore così come la Cavatina, che precede il Finale Op.130 nella sua collocazione autentica. Oppure, l’eseguire l’Op.18.3 dopo l’Op.130 con Große Fuge: se fosse all’inverso si ascolterebbe - e si suonerebbe! - l’Op.18.3 con la mente rivolta a ciò che seguirà. In questo modo io penso non venga sacrificata l’affascinante freschezza dell’Op.18.3, che, anzi, potrebbe essere colta

proprio grazie alla pacificata disposizione che segue un grande impegno. Oppure, ancora, l’accostamento dell’Op.131, il più “avveniristico” tra i Quartetti, all’Op.18.2, il più apparentemente innocente dei quartetti giovanili: ancora un’occasione per ripensare ad una possibile circolarità nel percorso artistico beethoveniano, circolarità che la teoria “evoluzionistica” dei tre stili pervicacemente nega. Questo della parentela, più stretta di quanto non appaia, tra le composizioni della cosiddetta prima maniera e dell’estrema maturità era un pensiero continuamente presente nelle riflessioni di Paolo Borciani ed è anche, in fondo, l’ipotesi sperimentale di questo ciclo. Sono lieto che Quirino Principe abbia voluto condividerla con noi.


Come speciale appendice ad ognuno dei concerti, il Quartetto Borciani ha voluto chiedere a quei compositori italiani con i quali abbia collaborato in questi anni una breve composizione, idealmente o suggestivamente legata a Beethoven, che in questa sede, a mo’ di “bis”, avrà la sua prima esecuzione.*

E’ questa l’occasione per ripensare ad una speciale attualità beethoveniana, alla vitalità del suo lascito e all’influenza che ancor oggi può esercitare sulla musica del presente: non c’è modo più autentico che non farlo attraverso un nuovo atto creativo.


Fulvio Luciani



programmi:


I anno


Novara, Auditorium Fratelli Olivieri, Mercoledì 29 Ottobre 1997

Milano, Teatro Lirico, Giovedì 30 Ottobre 1997

Quartetto in si bemolle maggiore Op.130 con Große Fuge in si bemolle maggiore Op.133

- intervallo -

Preludio in re minore (frammento)

Quartetto in re maggiore Op.18.3

Post scriptum: Franco Donatoni, LUCI III (prima esecuzione)



Novara, Auditorium Fratelli Olivieri, Sabato 29 Novembre 1997

Milano, Teatro Lirico, Venerdì 5 Dicembre 1997

Preludio e Fuga all’ottava in fa maggiore H 30

Quartetto in fa maggiore Op.18.1

- intervallo -

Quartetto in mi minore Op.59.2

Post scriptum: Lorenzo Ferrero, BEETHOVENFEST (prima esecuzione)



Novara, Auditorium Fratelli Olivieri, Mercoledì 11 Marzo 1998

Milano, Teatro Lirico, Venerdì 13 Marzo 1998

Fuga in si bemolle maggiore H 36 (dal Solomon di Händel)

Quartetto in si bemolle maggiore Op.18.6

- intervallo -

Quartetto in la minore Op.132

Post scriptum: Arvo Pärt, FRATRES



Novara, Auditorium Fratelli Olivieri, Martedì 5 Maggio 1998

Milano, Teatro Lirico, Venerdì 8 Maggio 1998

Quartetto in do minore Op.18.4

Quartetto in fa minore Op.95

- intervallo -

Adagio espressivo [autografo Artaria 211] (prima versione del primo movimento dell’op.131)

Quartetto in do maggiore Op.59.3

Post scriptum: Luca Francesconi, APRES TOUT (prima esecuzione)



II anno


Novara, Auditorium Fratelli Olivieri, Domenica 11 Ottobre 1998

Milano, Teatro Lirico, Domenica 18 Ottobre 1998

Preludio e Fuga alla decima in do maggiore H 31

Quartetto in la maggiore Op.18.5

- intervallo -

Quartetto in fa maggiore Op.59.1

Post scriptum: Franz Schubert - Alessandro Solbiati, II KLAVIERSTÜCK D946 (prima esecuzione)



Novara, Auditorium Fratelli Olivieri, Domenica 11 Ottobre 1998

Milano, Teatro Lirico, Domenica 31 Gennaio 1999

Quartetto in fa maggiore H 34 (dalla Sonata per pianoforte Op. 14.1)

Quartetto in sol maggiore Op.18.2

- intervallo -

Quartetto in do diesis minore Op.131

Post scriptum: Giovanni Sollima, VAN (prima esecuzione)



Novara, Auditorium Fratelli Olivieri, Domenica 21 Marzo 1999

Milano, Teatro Lirico, Domenica 28 Marzo 1999

Quartetto in fa maggiore H 32 (prima versione dell’Op.18.1)

- intervallo -

Quartetto in mi bemolle maggiore Op.127

Post scriptum: Fabio Vacchi, MOVIMENTO DI QUARTETTO (prima esecuzione)



Novara, Auditorium Fratelli Olivieri, Domenica 9 Maggio 1999

Milano, Teatro Lirico, Domenica 16 Maggio 1999

Quartetto in mi bemolle maggiore Op.74

Finale Op.130

- intervallo -

Minuetto [senza Trio] in la bemolle maggiore H 33

Quartetto in fa maggiore Op.135

Post scriptum: Azio Corghi, “MUSS ES SEIN?” (prima esecuzione)





* La serie Post Scriptum fu riservata ai concerti milanesi